I Gonzaga
(1328 - 1708)

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Introduzione


Veduta a volo d'uccello della Mantova cinquecentesca.
Disegno a penna e inchiostro di Filippo Orsoni,
pittore mantovano

I Corradi da Gonzaga furono una delle più splendide e più longeve famiglie del Rinascimento italiano. Originari di Gonzaga, i Corradi (che ben presto utilizzarono come appellativo il solo toponimo di provenienza) erano grandi proprietari terrieri. L'occasione di impadronirsi del potere a Mantova si presentò nel 1328 quando, stanchi dei soprusi di Passerino Bonacolsi ed intuendo che il momento era propizio, all'alba del 16 agosto realizzarono un vero colpo di Stato, immortalato nella celebre tela di Domenico Morone conservata in Palazzo Ducale. Il tentativo venne appoggiato dagli Scaligeri, bramosi di impossessarsi di Mantova, ma l'accortezza di Luigi Gonzaga, "il capostipite" evitò qualsiasi espansione del potere veronese a discapito della città virgiliana. La famiglia Gonzaga si distinse per i suoi rappresentanti, sempre figure straordinariamente intriganti, tanto come esempi di massimo splendore civile e intellettuale, quanto come campioni di assoluta negligenza e vita dissoluta. Capitani del Popolo dapprima, marchesi nel 1433 e duchi nel 1530, i Gonzaga si distinsero per la loro abilità politica nel reggere la cosa pubblica, nell'attenzione alle arti (le collezioni gonzaghesche - che vantavano opere di tutti i più grandi artisti - erano tra le primissime in Europa, e così pure il complesso di Palazzo Ducale), nella politica matrimoniale, nello sviluppo architettonico ed urbanistico di Mantova, vero giardino di pietra. La politica gonzaghesca era di continuo e ridondante equilibrio tra le potenze confinanti: Repubblica di Venezia, Milano, Ferrara e i possedimenti pontifici. Fino al terzo decennio del Cinquecento i Gonzaga si distinguevano per le condotte militari: tra le massime entrate nei bilanci statali erano, infatti, i proventi derivanti dal capitanato degli eserciti degli Stati alleati o delle leghe (ricordiamo, per esempio, quella che nel 1495 si scontrò contro le truppe di Carlo VIII di Francia a Fornovo di Taro). Dal terzo decennio del Cinquecento fino alla caduta la politica gonzaghesca fu invece di pace e di equilibri politici. Una situazione che, unitamente allo sviluppo delle manifatture e dell'agricoltura, consentì al territorio mantovano, di superficie relativamente ridotta, di diventare estremamente redditizio e di permettere alla casata gonzaghesca ricchi introiti, spesso reinvestiti nelle collezioni artistiche o nell'edificazione di edifici e chiese.

Fu probabilmente dal periodo di Isabella d'Este e Francesco II che Mantova visse il suo massimo splendore (le fondamenta di tale fasto erano però già state gettate nel secolo precedente con le luminose figure di Ludovico II e del padre Gianfrancesco). Va inoltre ricordato che col matrimonio tra Federico II e Margherita Paleologo il ramo principale dei Gonzaga entrò in possesso del ricchissimo (ma non agevolmente governabile) marchesato (poi ducato) del Monferrato.

Il terzogenito di Federico II invece, il bel Lodovico, nipote prediletto della nonna materna, Anna d'Alençon, vedova di Guglielmo VII Paleologo,

Carta geografica del ducato di Mantova
stampata ad Amsterdam da Johannes Janssonius a partire dal 1630.
La carta è plasmata su quella del Magini,
dalla quale differisce per pochi particolari
alla morte di lei ne ereditò i beni personali e diventò così signore di alcuni territori francesi. Attraverso il matrimonio con Enrichetta di Cleves Ludovico diventò duca di Nevers ed aggiunse alle proprie signorie quelle delle varie e vaste terre che già erano appartenute alla casa di Cleves (era insomma uno dei più ricchi personaggi dell'intera Francia), dando vita alla linea genealogica dei Gonzaga di Nevers che succederà ai Gonzaga del ramo principale nel terzo decennio del Seicento. Attraverso Francesco III e Guglielmo l'epopea gonzaghesca giunse ad inizio Seicento a Vincenzo, signore ricordato per i sui fasti, per la sua prodigalità, per il suo carattere talora rissoso talora pronto a commuoversi per i più poveri, pronto ad uccidere i rivali come ad organizzare spedizioni contro i Turchi, raffinatissimo cultore delle arti tanto da accogliere nella corte, popolata da quasi mille individui, il pittore fiammingo Pietr Paul Rubens o il musicista cremonese Monteverdi. In breve la parabola gonzaghesca stava per tramontare: dopo Vincenzo assai breve fu il regno di Francesco IV, suo figlio, cui successero gli zii, entrambi ex cardinali, Ferdinando (coltissimo e malinconico) e Vincenzo II, figura debole e insignificante.

Alla sua scomparsa si aprì il problema della successione: mancando un erede maschio la notte di Natale del 1627, poche ore prima della morte del settimo duca, venne celebrato un matrimonio tra la nipote Maria (era figlia di Francesco IV) e Carlo di Rethel. Attraverso questo matrimonio il padre del giovane duca di Rethel, Carlo duca di Nevers, salì quindi al trono di Mantova col nome di Carlo I. Una successione malvista dall'imperatore quella di un "francese" in un feudo imperiale, tra l'altro di enorme importanza strategica.

La successione fu segnata quindi dall'assedio e dal sacco di Mantova, ricordàti anche nei Promessi Sposi a causa della peste giunta in Italia con i lanzichenecchi.

Quello che era uno scontro compreso nel più ampio dibattimento della Guerra dei Trent'anni vide Mantova vaso di coccio tra vasi di ferro. Spogliata e devastata dal sacco e dalla peste non recupererà più lo splendore dei tempi passati. La collezione gonzaghesca di opere d'arte, venduta in parte a Carlo I Stuart e completamente dispersa dal sacco venne nuovamente ricostituita ma probabilmente non toccò più il vertice raggiunto nel passato. Manifatture e agricoltura dello Stato erano ormai irrimediabilmente segnate. A questo si aggiunga un mutato clima sociale, politico ed economico, come pure l'evidente incapacità di governo dei Gonzaga Nevers. Non si distinsero certo né Carlo I, né Carlo II, né Ferdinando Carlo Gonzaga, vacuo signore noto soprattutto per le sue debolezze e per aver ricevuto la "scomunica imperiale" per fellonia.


Pianta prospettica pubblicata a Francoforte nel 1638 da Matthaus Merian.
Mantiene l'impostazione di quella più antica del Bertazzolo,
riproponendo anche elementi decorativi come lo stemma gonzaghesco e il collare del Redentore.
L'immagine coglie la città durante l'assedio delle truppe imperiali nel 1630
Il suo atteggiamento filofrancese (né, forse, poteva diversamente essere, ma la sua condotta dello Stato - a partire dalla vendita di Casale ai Francesi fino all'ospitalità data all'esercito francese in terra mantovana durante la Battaglia di Luzzara del 1702 - fu a dir poco inqualificabile) fece sì che gli fossero tolti i ducati di Mantova e Monferrato. Non fece a tempo Ferdinando Carlo a ricevere la ratifica del processo imperiale: già fuggito a Venezia l'ultimo duca di Mantova morì a Padova il 5 luglio 1708. L'impero avocò a sé i suoi possedimenti. Il Monferrato fu assegnato al Piemonte, mentre Mantova passò con Milano nella monolitica compagine imperiale.

La famiglia Gonzaga fu tra le più splendide signorie del Rinascimento europeo e rese Mantova vera capitale politica e culturale, soprattutto tra la metà del Quattrocento e l'inizio del Seicento. Una città ricchissima, assai popolosa, una sorta di novella Roma (a Mantova nel 1459 si tenne il concilio indetto da papa Pio II), sommamente all'avanguardia nell'economia, nelle arti e nella cultura, tanto da rendere la città di Virgilio, capitale di un piccolo Stato regionale, di dignità pari ad altri celebrati centri, come Venezia, Firenze o Roma. Casa Gonzaga annovera tra i suoi appartenenti una decina di cardinali (per soli 5 voti il cardinal Ercole non divenne papa), beati, e un santo: San Luigi Gonzaga, patrono della gioventù. I rami laterali della famiglia (che quasi completamente si spensero entro la prima metà del Settecento) governavano su piccoli Stati satelliti (come Castiglione delle Stiviere, Luzzara, Vescovato) o su realtà più importanti, come Novellara e i ducati di Guastalla e Sabbioneta, retti da personalità sovente ai massimi vertici del mondo occidentale: basti pensare alla corrusca figura di Vespasiano, "fondatore" della città ideale di Sabbioneta.

I Gonzaga seppero portare Mantova e i territori ad essa legati nell'Olimpo della civiltà europea. Furono figure splendide, sia nel bene sia nel male: quasi tutti i Gonzaga vissero il loro tempo con una tale intensità ed una partecipazione ai maggiori eventi della storia che raramente ebbe pari. I signori di Mantova, occorre ricordarlo, erano inoltre alla guida di un complesso di piccoli Stati regionali che si estendevano dal Nord Italia alla Francia, al meridione: davvero sui Gonzaga non tramontava mai il sole. Allora come adesso, a secoli di distanza dalla loro scomparsa, il loro nome è sinonimo di una gloria ineguagliata.

(p.be.)




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